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Piccoli revisionisti crescono

Da qualche tempo Fini sta battendo una strada nuova.

Visto che in Italia, per tradizione e cultura, principi e parole non hanno alcun valore, come il poliedrico Silvio (ma non è solo in ciò) dimostra quotidianamente, il “nostro” Presidente della Camera ha deciso che non è più il caso di sostenere anacronistici slogan e arcaiche posizioni pubblicamente; è molto più conveniente, infatti, scegliere un approccio verso la massa che sia blindato dagli attacchi di chi, per qualche strano motivo, ancora crede negli ideali di uguaglianza e rispetto reciproco.

Fu cosi che, quando l’autunno appena faceva capolino sull’umida Italia, il nuovo Gianfranco si produceva in uno stoico discorso che ha provocato immediate proteste da parte dei “giovani fascisti” italiani, in cui asseriva che “ogni democratico deve essere anti-fascista” e  che “la destra si deve riconoscere nei valori dell’anti-fascismo“:

D’altra parte, la sua espressività in tale occasione, degna della migliore performance di Nicoletta Braschi o dell’equivalente Monica Bellucci, che tanto rappresentano il cinema italiano all’estero,  era probabilmente il frutto di anni di allenamento a cui era stato spronato dalla figuraccia fatta in sede europea nel lontano (?) 2003 alle spalle del nostro divertentissimo (nonchè compiaciuto) Presidente del Consiglio che si dilettava nel rispondere alle domande postegli dal deputato Martin Schulz accusandolo di essere degno di interpretare un kapò nazista, come questo video ci ricorda:

Ma Fini è oggi un oratore professionista e, in occasione dei 70 anni della proclamazione delle leggi raziali, ha pensato bene di lasciarsi sfuggire un leggero, quasi impercettibile revisionismo storico. Lo scaltro portavoce della destra italiana ha così ammesso, con un flebile sospiro, che, nonostante l’implicazione del pensiero mussoliniano in questa vergognosa vicenda della nostra storia, “l’ideologia fascista non spiega da sola l’infamia. C’è da chiedersi perchè la società italiana si sia adeguata, nel suo insieme, alla legislazione antiebraica e perchè, salvo talune eccezioni, non siano state registrate manifestazioni particolari di resistenza. Nemmeno – e duole dirlo – da parte della Chiesa cattolica“.

La furiosa protesta levatasi in favore del Vaticano e della Chiesa Cattolica, purtroppo ha fatto passare in secondo piano l’elegante mossa del leader di AN che ha cosi brillantemente scaricato parte delle enormi responsabilità del fascismo su capri espiatori più o meno causali. Più, quando accusa la società italiana che, allora come oggi, non ha più colpa, perchè non ha più coscienza né pensiero, ridotta ad un gregge acefalo attento a seguire finanche i più strani ordini impartiti dal dittatore di turno (purchè questi ben sappia come controllare le altrui menti e manipolare il pensiero dei proprio sudditi) . Meno, quando cita la sempre ambigua e paradossale Chiesa cattolica e i giochi di potere di cui essa si è resa (e ancora vi partecipa con sommo giubilo) abile protagonista nel corso dei secoli. A supporto di questa affermazione riporto qui quanto rintracciato negli archivi vaticani da Lucia Ceci, docente di storia contemporanea all’Università di Roma Tor Vergata:

… Perciò l’Italia fascista invoca il contributo della Chiesa cattolica nel «dissuadere unioni tra persone di diversa razza»: «appunto per evitare le nascite dei mulatti, che sono dei degenerati». Risalendo per via gerarchica, la richiesta di Lessona approda sulla scrivania di Pio XI, che sollecita un avviso del cardinale Domenico Jorio, prefetto della Congregazione dei sacramenti. E il 24 agosto 1937, il cardinale Jorio mette per iscritto, all’attenzione di Papa Ratti, un parere sconcertante rispetto al senso comune della morale cattolica. Sì, «a mezzo dei Missionari», la Chiesa avrebbe effettivamente potuto, anzi avrebbe dovuto collaborare — «nei giusti limiti» del diritto canonico — alla campagna per la «sanità della razza». Le «ibride unioni» andavano impedite «per i saggi motivi igienico-sociali intesi dallo Stato»: «la sconvenienza di un coniugio fra un bianco e un negro», e «le accresciute deficienze morali nel carattere della prole nascitura». Segue l’approvazione papale del documento firmato dal cardinale Jorio, trasmesso alla nunziatura d’Italia già il 31 agosto di quel 1937: per la gioia del ministro Lessona, «lieto delle sagge disposizioni della Santa Sede». …*

Naturalmente, il Vaticano, che non è abituato a sentirsi attaccato, proprio come Berlusconi durante il “colloquio” con Schulz, ha reagito scompostamente e le durissime repliche continuano a fioccare sulla testa del povero Fini, ma, almeno stavolta, lo scontro è più interessante del solito perchè, nonostante l’ipocrisia e la mancanza di dignità nell’accettare sinceramente le proprie colpe da parte delle due parti in gioco (la terza parte in causa, l’ormai ammaestrato popolo italiano, non ha ovviamente voce in capitolo), viene portato avanti a colpi di mezze verità (nel caso in cui si parli dell’avversari, naturalmente!) piuttosto che di vistose menzogne.

Sono ancora curioso di vedere se il Vaticano giocherà il jolly, l’altro maestro del paradosso linguistico-morale “italiano”, il prof. Ratzinger, che dall’alto della sua esperienza (in particolar modo di quella giovanile) può parlare a pieno titolo di leggi e odio razziali, e quali straordinari effetti egli sarà in grado di estrarre dal cilindro… pardon: dal camauro!

*testo tratto da: Corriere.it